Meccanismo molecolare e nuovi approcci farmacologici per la sindrome nefrosica ereditaria resistente agli steroidi

Meccanismo molecolare e nuovi approcci farmacologici per la sindrome nefrosica ereditaria resistente agli steroidi

Il cortisone in gravidanza può essere assunto poiché, alla luce degli studi condotti, non è considerato un farmaco teratogeno, ovvero non produce anomalie o malformazioni nel corso dello sviluppo embrionale. Tuttavia, prima di assumere cortisonici in gravidanza occorre affidarsi a uno specialista ed evitare il fai da te. Gli steroidi anabolizzanti sono molto utilizzati nel mondo del culturismo, tuttavia molti influencer bodybuilder che ne fanno uso dichiaratamente, tenderebbero ad enfatizzarne i soli lati positivi, ponendo così in secondo piano la pericolosità di tali composti. Ulteriore aspetto da considerare è inoltre la sofferenza psicologica silente che accompagna le persone disposte a tutto pur di avere un corpo prestante, un aspetto troppo spesso ignorato. Il cortisone, il primo steroide identificato nonché il più importante farmaco antinfiammatorio, efficace in quasi tutte le malattie autoimmuni, è stato isolato per la prima volta nel 1935 dalla corteccia surrenale alla Mayo Clinic dal chimico statunitense Edward Kendall e chiamato inizialmente “Composto E”. Nel 1948 Philip Hench, clinico e reumatologo della Mayo Clinic, trattò per la prima volta una malattia autoimmune, l’artrite reumatoide, con il cortisone, somministrandolo a 14 pazienti.

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  • Iniziare con una piccola dose e aumentare gradualmente la dose, e ridurre la dose dello stesso steroide anabolizzante a zero è chiamato piramidalizzazione.
  • Probabilmente, come accennato all’inizio, potrebbero avere un ruolo le infezioni sistemiche o lo stress ma, per esempio, su quest’ultimo fattore le idee non sono affatto chiare e mancano le prove scientifiche che testimoniano un coinvolgimento causa-effetto.
  • In particolare, in questo modo le ovaie smettono di produrre ormoni (ablazione o soppressione ovarica).

Anche se gli atleti d’élite sono testati per l’uso di steroidi anabolizzanti dalle agenzie anti-doping, non esiste un test diagnostico pratico per valutare l’uso surrettizio di steroidi anabolizzanti nella popolazione generale dei pazienti. Quando un paziente si presenta con segni e sintomi di uso cronico di steroidi anabolizzanti, è importante che la possibilità dell’uso di steroidi anabolizzanti sia evocata tra le diagnosi differenziali. Può essere utile misurare i livelli sierici di testosterone, dell’ormone follicolo-stimolante e dell’ormone luteinizzante, dal momento che sono test più disponibili.

Fisiopatologia causata da steroidi anabolizzanti

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  • Si parla di vigoressia quando un individuo avverte una marcata sensazione di inadeguatezza nei confronti del proprio corpo, sviluppando un’ideazione ossessiva su questo tema.
  • Le raccomandazioni cliniche sottolineano che occorre una valutazione del paziente a 360° con DXA (a livello femorale e lombare) e morfometria vertebrale; il FRAX non è validato per predire il rischio di frattura in questi pazienti.
  • In tutto il mondo sono in corso numerosi studi allo scopo di sperimentare nuovi approcci alla malattia, per ottenere farmaci sempre più efficaci e con scarsi effetti collaterali.
  • Qualsiasi sia la via di somministrazione è importante ricordare che il cortisone deve essere gradualmente scalato e non sospeso in maniera improvvisa.
  • Gli steroidi anabolizzanti sono utilizzati clinicamente per trattare i bassi livelli di testosterone nell’ ipogonadismo maschile Ipogonadismo maschile L’ipogonadismo è definito come un deficit di testosterone con sintomi o segni associati, deficit della produzione di spermatozoi o entrambi.

Il trattamento può iniziare prima, durante o dopo la radioterapia e prosegue per un periodo variabile da sei mesi a tre anni. Quando la malattia è troppo estesa o diffusa per essere trattata efficacemente con l’intervento chirurgico o la radioterapia, e se sono presenti metastasi ai linfonodi o disseminate, la terapia ormonale rappresenta lo standard di riferimento. Viene somministrata per iniezione intramuscolare, di solito nei glutei, o sottocutanea, nell’addome, ogni 4 o 12 settimane.

Ulteriori informazioni

Visto il continuo incremento di questi casi, diventa sempre più importante una maggiore informazione e controlli più serrati nelle palestre dove si pratica bodybuilding. E’ necessario che questi ragazzi capiscano i severi e spesso irreversibili danni che possono procurasi con una dieta iperproteica associata ad un abuso continuativo di sostante anabolizzanti. L’epatite autoimmune (EAI) è una malattia infiammatoria del fegato ad andamento cronico su base immuno-mediata, ad eziologia tuttora sconosciuta, innescata da fattori eterogenei (infezioni virali, farmaci, vaccini, ecc.) in soggetti geneticamente predisposti. Le linee guida dell’ACR 2010 raccomandano nel paziente che deve assumere steroidi per una durata prevista pari o maggiore a 3 mesi, di mantenere un apporto totale di calcio di 1200 mg/die ed un introito di vitamina D pari a 800 UI/die mediante dieta e/o supplementi (livello di evidenza A) (9). Tale raccomandazione deriva dal fatto che i glucocorticoidi riducono l’assorbimento intestinale di calcio ed aumentano la calciuria, generando un bilancio negativo del calcio.

  • Questo estere decanoato conferisce alla preparazione una durata d’azione di circa tre settimane dopo l’iniezione.
  • A tal fine, i ricercatori si concentreremo sulle mutazioni di TBC1D8B, un gene la cui funzione è attualmente sconosciuta e che è stato recentemente descritto come una causa di SNRS.
  • Pertanto durante la terapia è necessario uno stretto monitoraggio del tempo di protrombina e, se necessario, una riduzione della dose degli anticoagulanti.

La quasi totalità dei pazienti con EAI mostra una buona risposta alla terapia anti-infiammatoria steroidea, con rapido calo e successiva normalizzazione delle transaminasi prima e delle IgG poi, che deve essere accompagnata dal progressivo e prudente decalage dello steroide (1). Qualche volta la mancata risposta allo steroide può verificarsi a causa della scarsa aderenza ad un regime terapeutico aggressivo che determina effetti collaterali anche cosmetici particolarmente spiacevoli (acne, irsutismo, gibbo, strie rubrae), specie nelle prime fasi, se i dosaggi non sono sapientemente calibrati. In tali contesti budesonide al posto degli steroidi classici potrebbe essere utile, qualora l’entità della flogosi epatica non sia particolarmente elevata. In letteratura è ormai noto come nell’osteoartrite (OA) sia presente un certo grado di infiammazione ed alcuni studi hanno suggerito come l’infiammazione sembri essere in grado di predire la progressione strutturale del danno. “I CS intra-articolari sono già utilizzati estesamente nel trattamento della gonartrosi in funzione analgesica nel breve termine, ma fino ad ora non erano stati testati in modo specifico gli effetti di questa classe di farmaci nella progressione strutturale del danno – ricordano gli autori nell’abstract presentato al Congresso”.

Secondo le linee guida della Surviving Sepsis Campaing, i corticosteroidi non andrebbero impiegati nei pazienti con sepsi. Nel caso di pazienti con shock settico, la somministrazione andrebbe riservata a coloro i quali permangono ipotesi dopo adeguato riempimento volemico e introduzione di vasopressori. Qualora indicato, viene consigliato l’impiego di idrocortisone con dose massima giornaliera di 200 mg.

MM di nuova diagnosi, interessanti outcome dallo studio PERSEUS

Regolano l’attività di organi specifici che raggiungono attraverso il circolo sanguigno anche in aree distanti da quella in cui sono stati prodotti. Ricordiamo, infine, che non sempre i medicinali contenenti desametasone si possono utilizzare in bambini e adolescenti. Per quanto riguarda il desametasone per uso parenterale, questo deve essere somministrato per via endovenosa o per via intramuscolare da un medico o da un infermiere. Applicato localmente sulla cute, il desametasone – oltre che un’azione antinfiammatoria – è altresì in grado di esercitare un’azione antipruriginosa e vasocostrittrice.

Asma non controllato, identificati 4 fattori di rischio

L’esposizione agli estrogeni nel corso della vita può cambiare in relazione a fattori individuali o riproduttivi (come l’età della prima mestruazione o della prima gravidanza, il numero dei figli, il tempo dell’allattamento) e in conseguenza ad abitudini e comportamenti. Il sovrappeso favorisce, per esempio, un eccesso di estrogeni perché, specie dopo la menopausa, il tessuto adiposo converte in estrogeni alcuni precursori prodotti dalle ghiandole endocrine. L’obesità causa anche una sovrabbondante liberazione di insulina e di altri ormoni simili che possono agire come fattori di crescita. In conclusione, il trattamento intra-articolare con CS utilizzati al dosaggio di 40 mg per 2 anni non ha un effetto rilevante sulla struttura articolare – sia deleterio che scheletrico – e non sembra migliorare gli outcome riferiti dai pazienti relativi alla funzione fisica. Tra i limiti riconosciuti allo studio sono stati ricordati l’impiego di una sola dose di steroide – la qual cosa non permette di escludere del tutto l’esistenza di un effetto a dosaggi maggiori – e la mancata misurazione dei benefici del trattamento a breve termine associati con le infiltrazioni di steroidi.

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In clinica, dunque, vengono utilizzati, in particolare in caso di recidiva, nella pausa tra un ciclo di chemioterapia e l’altro. Le sindromi nefrosiche (SN) sono caratterizzate da una combinazione di sintomi che possono portare, sia nei bambini che negli adulti, a malattie renali croniche e a insufficienza renale grave. Il trattamento con steroidi, farmaci derivati dagli ormoni naturalmente presenti nell’organismo umano, consente la remissione della sintomatologia di SN in quasi il 90% dei casi. Tuttavia, per il restante 10% tale trattamento terapeutico non è efficace, in quanto questi pazienti mostrano una sintomatologia compatibile con il sottotipo di SN, noto come sindrome nefrosica resistente agli steroidi (SNRS). Ricerche approfondite sulla patogenesi della SNRS hanno dimostrato che metà dei casi di SRNS sono causati da geni disfunzionali trasmessi dai genitori ai figli. Questi geni codificano generalmente per proteine importanti per i podociti, cellule renali specializzate, responsabili del mantenimento della struttura e della funzione dell’apparato di filtraggio renale.